La zappa e la caldaia. I pionieri del pomodoro nel Parmense

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Di Ubaldo Delsante

Vorrei iniziare con un breve ricordo personale. Siamo a Gaiano, nell’agosto 1945. Qui un agricoltore, che aveva installato nella casa colonica del suo podere una piccola fabbrica di concentrato di pomodoro, mentre ancora, si può dire, risuonano sotto la barchessa i passi cadenzati dei soldati tedeschi che si avviano al campo di concentramento di Pontescodogna, prova a rimetterla in funzione. E in una grande caldaia di rame fa bollire il pomodoro e lo concentra fino a produrre la salsa nera. Alcune donne stendono la pasta profumata sopra delle tavole di legno e le appoggiano sopra dei carrelli da miniera o da fornace, raccattati chissà come fra i residuati bellici, che vengono fatti scorrere sui binari sistemati nei campi, tra una piantata e l’altra, a prendere il sole; poi con delle spatole di legno ne fanno dei pani, color mogano scuro, della consistenza di stucco, di vario peso e li avvolgono nella carta oleata, pronti da commercializzare nei negozi. Una parte del concentrato viene anche messa in grossi fusti di legno e venduta all’ingrosso. Ero un bambino, allora, ma ricordo molto bene che, come i miei compagni di giochi, anch’io non vedevo l’ora che i carrelli fossero finalmente liberi per spingerli e saltarci sopra come se fossero giostre.

Ma la memoria è una cosa e la storia è un’altra, e quindi cercherò di dare un significato e un valore storico a questo episodio. Esso dimostra come la guerra, quasi come una “macchina del tempo” a ritroso, avesse provocato un duplice ritorno ai primordi dell’industria conserviera: il primo è quello tecnologico, si ricorre cioè a metodi antiquati, non potendo disporre, a poche settimane dalla fine delle ostilità, di apparecchiature moderne; l’altra è di tipo organizzativo, poiché di nuovo fa confluire su di un solo imprenditore le figure del produttore e del trasformatore, che ormai si stavano nettamente differenziando.

Chiudo subito questo Amarcord e ritorno appunto ai primordi, cioè all’epoca in cui – siamo poco dopo la metà dell’Ottocento – si passa dalla produzione casalinga alla produzione industriale o, meglio, protoindustriale, di conserva in pani o imbottigliata secondo il metodo escogitato ai primi del secolo per conservare i cibi per l’Armée durante le guerre napoleoniche.

Monografia dell’agricoltura parmense, compilata per incarico della Giunta Parlamentare per l’inchiesta agraria: più nota come Inchiesta Jacini – pubblicata nel 1880 da Francesco Barbuti, traccia un panorama dettagliato della situazione agricola nel parmense, registrando i primi tentativi di coltivazione del pomodoro

Fabbriche di conserva di pomodoro nel parmense, 1900-1937. Esterni, interni, macchinari, fusti e mezzi di trasporto. (CP, Agricoltura Parmense 1937)