L’apriscatole, protagonista dell’industria conserviera

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Di Beatrice Dallasta

1 – Dalla lattina all’apriscatole

Quando è nata la conserva in scatola, nel 1810, ancora non esisteva nessun oggetto che fosse in grado di aprirla. Come indicava Durand sulle sue lattine, per arrivare al contenuto era necessario, visto lo spessore del metallo – che spesso pesava più dello stesso contenuto –, munirsi di martello e scalpello. Durante la Guerra Civile Americana, i soldati, in assenza di altri strumenti, utilizzavano colpi di arma da fuoco per riuscire a raggiungere il nutrimento. Per quasi mezzo secolo il problema di come aprire le scatole non venne preso in considerazione; fu soltanto quando si capì che le scatole potevano diventare di uso comune, uscendo dal ristretto impiego militare, che ci si domandò come renderne l’apertura più semplice. Nel corso del XIX secolo, il processo di produzione delle lattine fu migliorato, con l’ottenimento di una scatola il cui spessore ne consentiva l’apertura anche da parte di un civile. Data l’assenza di uno strumento apposito però alcune lattine (prevalentemente conserve ittiche e di carne) venivano prodotte con sistemi integrati in grado di favorirne l’apertura come piccole chiavi adatte a strappare una linguetta metallica.
Solo nel 1855 fu brevettato il primo apriscatole: un oggetto che segnerà l’importante successo delle conserve e la loro diffusione domestica.

2 – Le leve per capire l’apriscatole

L’apriscatole è un arnese, di varia forma, che serve per aprire scatole di latta (generalmente contenenti conserve, marmellate e simili) tagliandone tutt’intorno il coperchio vicino all’orlo.
Per riuscire a comprendere il funzionamento dell’apriscatole è necessario partire dalle leve.
Le leve sono macchine semplici, che non possono essere scomposte in macchine più elementari. Una leva è costituita da un corpo rigido in grado di ruotare attorno ad un punto, detto fulcro (F); le parti del corpo rigido ai lati del fulcro sono dette bracci. Sulla leva agisce una forza, la resistenza (R), che deve essere vinta o controbilanciata dall’azione applicata (P).
A seconda delle posizioni di fulcro, resistenza e azione, si possono distinguere tre tipi di leve: di primo genere, di secondo genere, di terzo genere.

  • Nella leva di primo genere il fulcro si trova tra la resistenza e l’azione. Le forbici sono una leva di questo tipo.
  • Nella leva di secondo genere il punto su cui agisce la resistenza si trova tra il fulcro e il punto di applicazione dell’azione. Lo schiaccianoci è una leva di questo tipo.
  • Nella leva di terzo genere la distanza tra il punto di applicazione dell’azione e il fulcro è minore rispetto a quella tra il fulcro e il punto su cui agisce la resistenza.

Un’ulteriore classificazione si basa sul modulo dell’azione e quello della resistenza che distinguono le leve vantaggiose dalle leve svantaggiose. Una leva è svantaggiosa se il modulo dell’azione è superiore a quello della resistenza; una leva è vantaggiosa se il modulo dell’azione è inferiore a quello della resistenza. In base alla lunghezza dei bracci che compongono si può stabilire facilmente di che tipo sia la leva.

  • Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose: se il braccio su cui agisce l’azione è più corto del braccio su cui agisce la resistenza, la leva sarà svantaggiosa, e viceversa; se i bracci sono della stessa lunghezza, la leva si dice indifferente.
  • Le leve di secondo genere sono sempre vantaggiose perché la distanza tra il punto di applicazione dell’azione e il fulcro è superiore a quella tra il fulcro e il punto di azione della resistenza.
  • Le leve di terzo genere sono sempre svantaggiose, perché la distanza tra il punto di applicazione dell’azione e il fulcro è inferiore a quella tra il fulcro e il punto di azione della resistenza.

In seguito alla breve descrizione dei generi di leve e delle tipologie, possiamo definire l’apriscatole più comune come una leva di primo genere – o due leve di primo genere accoppiate nel caso del doppio manico –, vantaggiosa perché progettata in modo che il braccio su cui è applicata l’azione sia più lungo rispetto a quello su cui agisce la resistenza.