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Storia del pomodoro

Dall’America alla nostra tavola

Questa è una storia di successo e merita di essere raccontata. Ma non per smania celebrativa; è che le storie insegnano.

Perché il Pomodoro ha avuto successo a Parma e non altrove?
Quello straordinario crogiuolo dell’agro-alimentare che è il nostro territorio, vanta diversi casi dl successo che si assomigliano, come l’allevamento bovino e la produzione del “Parmigiano”, l’allevamento suino e la produzione dei salumi.
Tutte queste storie trovano il nesso nelle soluzioni date al nodo critico del “come” conservare un prodotto fresco e deperibile (non importa che sia latte, carne suina o pomodoro). La genialità e praticabilità della soluzione ha determinato le straordinarie “filiere” dei nostri prodotti tipici.

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La cucina è “fatta” certamente di sapori e aromi, ma, a ben guardare, la sua storia è scandita di colori: quelli degli elementi base, via via “scoperti” nel corso dei secoli. Se carni e pesce hanno regolarmente rifornito la mensa degli uomini da migliaia di anni, non così si può dire per una serie davvero sorprendente di ingredienti e di condimenti, quali, ad esempio, le salse.

Fino a tutto il Rinascimento, le salse, a base di pane, aceto, vino e abbondanti spezie, avevano una uniforme colorazione bruna. Ma nel corso del Seicento, nella grande cucina di Versailles, grazie alla béchamel e alle sue applicazioni, i piatti del Re Sole si tingono di bianco, come bianco sarà il condimento degli spaghetti a Napoli, insaporiti con il Parmigiano grattugiato (“come il cacio sui maccheroni”, si dice) e resi più appetitosi da una spruzzata di pepe nero, quasi ad imitare il cono del Vesuvio.

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La crescente diffusione del pomodoro ed il maggiore apprezzamento in cucina stimolano, fin dagli inizi dell’Ottocento, la ricerca di metodi di conservazione: il prodotto è, infatti, stagionale, con punte massime di produzione nel mese di agosto. Diviene, quindi, essenziale trovare un modo per conservare i frutti il più a lungo possibile, per tutto l’anno e soprattutto per i periodi di calo di produzione.

Si codifica l’uso, presso i contadini, di fare bollire lungamente il pomodoro tritato e privato dei semi e delle bucce, fino ad ottenerne un sugo denso e scuro, che viene poi fatto essiccare al sole: è la cosiddetta “conserva nera”, confezionata in pani e avvolta poi in carta oleata per proteggerla nel tempo. La punta di un cucchiaio di questa conserva, riporta il rosso del pomodoro in minestre e pietanze anche nei freddi mesi dell’inverno. Finalmente la scoperta del francese Appert consente di mettere a punto i moderni sistemi di conservazione e di inscatolamento, inizialmente entro vasi di vetro, successivamente, entro lattine di banda stagnata.

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Alla fine dell’Ottocento in provincia di Parma Carlo Rognoni (1829-1904), che era egli stesso coltivatore nel suo podere la Mamiana di Panocchia, studiò per primo il pomodoro e la sua coltivazione, la sperimentò con la collaborazione di un bravo agricoltore di Vigatto, certo Giuseppe Ferrari, ne ricavò la qualità più adatta, chiamata Ladino di Panocchia, ne portò la coltura in pieno campo e l’introdusse nella rotazione agraria biennale in associazione al granturco o al frumento negli appezzamenti ricchi di acque per l’irrigazione. Le pianticelle venivano coltivate in filari di paletti, detti porche, con filo di ferro di sostegno, sistema chiamato alla genovese, rimasto in uso a lungo finché non venne soppiantato dall’utilizzo di mezzi meccanici. Parallele sperimentazioni avvenivano nel podere dell’Istituto Tecnico, sulla strada di Mariano, oggi via Bizzozero, e il loro esito economico veniva periodicamente pubblicato da Rognoni. Lo stesso nel 1874 fondò una società di agricoltori per la preparazione della conserva di pomodoro.

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