La lunga avventura della “conserva”

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La crescente diffusione del pomodoro ed il maggiore apprezzamento in cucina stimolano, fin dagli inizi dell’Ottocento, la ricerca di metodi di conservazione: il prodotto è, infatti, stagionale, con punte massime di produzione nel mese di agosto. Diviene, quindi, essenziale trovare un modo per conservare i frutti il più a lungo possibile, per tutto l’anno e soprattutto per i periodi di calo di produzione.

Si codifica l’uso, presso i contadini, di fare bollire lungamente il pomodoro tritato e privato dei semi e delle bucce, fino ad ottenerne un sugo denso e scuro, che viene poi fatto essiccare al sole: è la cosiddetta “conserva nera”, confezionata in pani e avvolta poi in carta oleata per proteggerla nel tempo. La punta di un cucchiaio di questa conserva, riporta il rosso del pomodoro in minestre e pietanze anche nei freddi mesi dell’inverno. Finalmente la scoperta del francese Appert consente di mettere a punto i moderni sistemi di conservazione e di inscatolamento, inizialmente entro vasi di vetro, successivamente, entro lattine di banda stagnata.

Charles Nicolas Appert (1749-1841), pasticciere in Rue de Quincampoix a Parigi, dopo numerosi tentativi, a partire dal 1796 realizza in un piccolo atélier a Ivry-sur-Seine le prime conserve in vasi di vetro. Due le intuizioni fondamentali: il riscaldamento in acqua bollente e la chiusura ermetica del vaso in fase di bollitura. Le stesse che aveva individuato alcuni anni prima l’abate Lazzaro Spallanzani (1799-1729) in Italia, senza peraltro darne particolare diffusione, se non in alcuni scritti dei suoi “Opuscoli” e le stesse indicate dallo svedese K. W. Scheele per la conservazione dell’aceto (1782).

Ne fa oggetto di una pubblicazione fondamentale, il Livre de tous les ménages, ou l’art de conserver pleusieurs années toutes les substances animales et végétales del 1804, che apre con un assunto sicuramente ottimistico: “Con questo processo, Vi sarà possibile trasferire nella vostra cantina tutto quanto il vostro orto produce in primavera, in estate e in autunno e dopo parecchi anni Voi troverete i vostri alimenti vegetali ancora buoni e sani come quando li avete raccolti e con una certa preveggenza potrete premunirvi per eventuali periodi di indigenza e carestia” e si aggiudica il premio di 12.000 franchi messo in palio dal Direttorio francese per chi avesse presentato il miglior progetto per la fornitura di alimenti conservati all’esercito francese. Nello stesso anno apre la prima fabbrica di conserve a Massy, nella banlieue parigina e i fagioli e i piselli in scatola della ditta Appert sono utilizzati con successo dal presidio militare del porto di Brest.

Appert aveva compiuto una ricerca attentissima e molto laboriosa presso vetrerie, fabbricanti di tappi di sughero e di collanti per trovare i materiali idonei a sopportare il calore, le pressioni interne e a resistere all’acqua: la ricerca fu proficua, ma la sua tecnica rimase comunque laboriosa, scomoda e con evidenti, gravi limitazioni ad una diffusione di ampie proporzioni.

Negli stessi anni (1810) proprio in Inghilterra Peter Durand presentava il brevetto per un metodo di conservazione degli alimenti mediante riscaldamento entro recipienti di latta e viene oggi riconosciuto come l’inventore delle scatole in banda stagnata. L’inglese Yates, intanto, brevetta nel 1855 il primo modello di apriscatole.

In Italia i nomi di spicco ai quali fa riferimento l’industria conserviera della seconda metà dell’Ottocento sono sicuramente Francesco Cirio (1836-1900) e Pietro Sada. Il primo nel 1856 apriva a Torino la prima fabbrica di piselli in scatola, seguita nel 1875 dal primo impianto per la lavorazione industriale di pomodoro in Campania, grazie all’impegno del tecnico parmigiano Lamberto Gandini e dell’industriale locale Pietro Rovetta, mentre il secondo nel 1881 impiantava a Crescenzago la prima fabbrica di conserve di carne. Per Cirio “modesto figlio del popolo, ardimentoso suscitatore di energie nei commerci e nelle industrie agricole nazionali”, si è trattato di un lungo peregrinare al Nord e al Sud d’Italia quasi per diffondere la nuova frontiera della scatoletta e quando nel 1900 egli muore, sul territorio nazionale le fabbriche di conserve sono ormai alcune centinaia.

Ai primi del Novecento, con l’utilizzo delle boules e dei concentratori, si giungerà alla più conveniente e sicura produzione sottovuoto. I derivati del pomodoro che vantano la più antica tradizione produttiva sono i pelati e il concentrato, a cui si sarebbero aggiunti, col tempo, altri prodotti, come la polpa pronta, le passate e i sughi.