Alla fine dell’Ottocento in provincia di Parma Carlo Rognoni (1829-1904), che era egli stesso coltivatore nel suo podere la Mamiana di Panocchia, studiò per primo il pomodoro e la sua coltivazione, la sperimentò con la collaborazione di un bravo agricoltore di Vigatto, certo Giuseppe Ferrari, ne ricavò la qualità più adatta, chiamata Ladino di Panocchia, ne portò la coltura in pieno campo e l’introdusse nella rotazione agraria biennale in associazione al granturco o al frumento negli appezzamenti ricchi di acque per l’irrigazione. Le pianticelle venivano coltivate in filari di paletti, detti porche, con filo di ferro di sostegno, sistema chiamato alla genovese, rimasto in uso a lungo finché non venne soppiantato dall’utilizzo di mezzi meccanici. Parallele sperimentazioni avvenivano nel podere dell’Istituto Tecnico, sulla strada di Mariano, oggi via Bizzozero, e il loro esito economico veniva periodicamente pubblicato da Rognoni. Lo stesso nel 1874 fondò una società di agricoltori per la preparazione della conserva di pomodoro.
Nel settembre 1876 Rognoni ottenne la medaglia d’argento nel Concorso Agricolo Regionale di Reggio Emilia e lusinghiere parole di lode quale “precursore e apostolo” della coltivazione del pomodoro. Fondò anche il Bollettino del Comizio Agrario Parmense quale veicolo di diffusione delle sue esperienze ed innovazioni agronomiche e lo diresse dal 1870 fino al 1902. All’Esposizione Universale di Parigi del 1878 il Comizio Agrario presentò conserva e salsa di pomodoro in pani e in vasi di cristallo. Nel 1894 Rognoni propose un progetto di legge al Ministero di Agricoltura Industria e Commercio per la tutela della fabbricazione e della vendita delle conserve e salse di pomodoro per impedirne la contraffazione.
Rognoni riuscì ad ottenere fino a 500 quintali di pomodoro per ettaro. Anche quei coltivatori che non raggiungevano i risultati ottimali di Rognoni potevano comunque ricavare un reddito nettamente superiore a quello dei cereali. Inoltre il pomodoro risultava, nel sistema della rotazione, una coltura che migliorava i terreni, contribuendo ad incrementare sensibilmente la produzione a grano dell’anno successivo. Attorno al 1880 la caduta dei prezzi dei cereali, che giungevano ormai in Europa dall’America con grandi bastimenti a vapore, spinse il mondo rurale parmense a cercare nuove coltivazioni che ne rimpiazzassero la scarsa redditività. Fu allora che l’attenzione per la coltura del pomodoro, da pura curiosità si trasformò in scelta precisa negli indirizzi agricoli dell’economia parmense. La crisi cerealicola aveva quindi accelerato una scelta che gli agricoltori stavano maturando con maggior lentezza.
Tra i primi che si unirono a Rognoni nella coltivazione del pomodoro, nella fabbricazione della conserva e nella sua diffusione anche all’estero, sono da ricordare Lodovico Pagani (1874-1927), Brandino Vignali (1868-1944), Giuseppe Scarica e inoltre Razzetti, Adorni, Valla, i fratelli Cerdelli di Torrechiara e altri.
In seguito altri agronomi, come Stanislao Solari (1829-1906), Antonio Bizzozero (1851-1934) e i suoi seguaci della Cattedra ambulante di agricoltura, come Fabio Bocchialini (1882-1915), si impegnarono nella diffusione tramite articoli sulle riviste di categoria e nell’insegnamento diretto ai coltivatori, delle pratiche di concimazione, preparazione del terreno e semina del pomodoro in aggiunta o in alternativa alle coltivazioni granarie e foraggiere.
Nel 1913 Bizzozero arriverà a scrivere: “State pur certi che i maccheroni al sugo con pomidoro ed il risotto al pomidoro, col relativo condimento di burro di pura panna e Parmigiano stravecchio, diverranno due istituzioni mondiali”.
Già nei primi anni del Novecento l’industria conserviera era andata orientandosi verso forme societarie. Talvolta si trattava di società in nome collettivo o in accomandita semplice nelle quali i soci erano gli stessi fondatori e i loro familiari, ma più spesso erano vere e proprie società anonime, con finanziatori, soci e dirigenti provenienti dalle classi della borghesia intellettuale (avvocati, ingegneri, docenti universitari), della vecchia nobiltà terriera e non più soltanto dal mondo contadino. Le prime industrie sorsero nei luoghi stessi di coltivazione e per iniziativa dei proprietari dei fondi rustici.
Secondo i dati ministeriali, nel 1890 erano attivi in provincia di Parma 16 opifici, che disponevano complessivamente di 35 caldaie a fuoco diretto e occupavano 76 operai (59 uomini e 17 donne) producendo mediamente 535 quintali di conserva nera in pani all’anno. La lavorazione avveniva introducendo i pomodori in sacchi di tela, che venivano schiacciati sotto una rudimentale pressa azionata a mano per eliminare il liquido. La polpa veniva passata nei bigonci attraverso grandi setacci di rame, quindi bollita sul fuoco a legna, rimescolandola con lunghe pale di legno, infine veniva fatta asciugare al sole, e confezionata in pani.
All’inizio del secolo le tecniche si affinarono con l’introduzione delle caldaie a vapore o boules, importate dapprima dalla Francia e poi prodotte sul posto dalle industrie meccaniche parmensi, per cui la bollitura avveniva sotto vuoto e la conserva veniva inscatolata in lattine: ciò richiedeva, di conseguenza, una maggiore disponibilità finanziaria da parte delle industrie.
Le aziende che negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento producevano conserva di pomodoro in pani erano in tutto una quarantina, molte delle quali avrebbero avuto vita breve, scomparendo con l’introduzione delle nuove tecnologie.
Secondo le rilevazioni della Camera di Commercio, nel 1893 nella provincia di Parma risultavano iscritte 4 imprese che trasformavano il pomodoro in estratto, nel 1894 tale numero saliva a 5 e nel 1895 se ne trovavano iscritte 7.
Nel 1912, al termine di trent’anni di sviluppo, l’industria conserviera parmigiana offriva, attraverso i dati della Camera di Commercio, l’immagine di un gigante economico: 61 stabilimenti, appartenenti a 59 imprenditori individuali o società, trasformavano, mediante 229 impianti sottovuoto, 1,5 milioni di quintali di pomodoro, pagati agli agricoltori 7 lire al quintale – il prezzo più elevato che si registri nel Paese – distribuendo nelle campagne 12 milioni. Offrivano lavoro, per 50 giorni, a tremila persone, erogando 600.000 lire in salari, consumavano 20 mila tonnellate di carbone, equivalenti a un milione di lire. Al prezzo medio di 100 lire al quintale – il prezzo del prodotto in fusti – i 200 mila quintali di concentrato prodotto sommavano introiti per 20 milioni di lire.
Negli anni successivi la produzione oscillerà, mantenendo peraltro l’offerta troppo alta rispetto alla domanda, e ciò provocherà una forte crisi che perdurerà fino alla fine della prima guerra mondiale.
Negli anni Trenta, superata la crisi, Parma aveva raggiunto e teneva saldamente la leadership in tutti e tre i segmenti dell’industria del concentrato di pomodoro: la produzione agricola, la trasformazione e l’industria meccanica connessa. La Stazione Sperimentale, sorta il 2 luglio 1922 (a sancire un primato che la città aveva conquistato a partire dal decennio precedente) per iniziativa di Comune, Provincia, Consorzio Industriali, Cassa di Risparmio, Banca dell’Associazione Agraria, Camera di Commercio e grazie all’impegno di Giuseppe Micheli (1874-1948), uomo politico parmigiano di area cattolica, di Antonio Bizzozero, tecnico agrario direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura, aveva il compito di innovare e accrescere ulteriormente il comparto e di “promuovere con indagini, studi, ricerche, analisi, il progresso tecnico dell’industria conserviera e di curare il perfezionamento del personale tecnico addetto alla stessa industria”.
L’Italia proprio in quegli anni si qualificava come la prima esportatrice mondiale di alimenti conservati e di concentrati di pomodoro.