Di Giancarlo Gonizzi
Nel 1941, Ennio Manghi (nato a Parma l’8 settembre 1914) apre con l’amico Aldo Ghiretti (nato a Parma nel 1913) una piccola torneria nell’Oltretorrente, al civico 8 di via Monte Grappa; operai specializzati, entrambi si sono formati presso una delle eccellenze dell’industria metalmeccanica italiana, le Officine Reggiane.
Nel luglio del 1943, Rodolfo Vettori (nato a Fornovo il 9 agosto 1910) rientra a Parma dall’Africa Orientale, allora colonia italiana, dove aveva svolto per diversi anni compiti amministrativi nell’azienda di trasporti del fratello. I primi due hanno bisogno di finanziamenti, l’ultimo vuole investire gli utili della precedente attività. Nasce così la Vettori & C., società attiva nel campo delle costruzioni meccaniche.
Con il finanziamento del Vettori vengono acquistate una serie di nuove e moderne macchine utensili. Principale cliente sono le stesse Officine Reggiane, per le quali Manghi e Ghiretti lavorano. La mole di lavoro è massacrante. Si lavora giorno e notte: di giorno alle Reggiane, di notte in officina per le Reggiane. Con l’8 settembre 1943 le cose peggiorano. Aldo Ghiretti, che nel frattempo s’era licenziato dalle Reggiane, e Rodolfo Vettori vengono richiamati nell’esercito. In officina rimane solo Ennio Manghi, che presta il proprio servizio militare ancora presso le Officine Reggiane militarizzate.
Si trova però a dover far fronte, da solo, alla stessa mole di lavoro di prima. La fatica è immensa. I bombardamenti aumentano. La città è sempre più preda di scontri a fuoco tra uomini di diverse fazioni.
Le rappresaglie e gli incameramenti d’autorità sono all’ordine del giorno. Manghi vede in pericolo il “tesoro” delle nuove macchine utensili. Decide allora di chiudere l’attività e di nasconderle. Sotterra le macchine nel piccolo fondo che la sua famiglia possiede a Vigheffio. Sopra vi mette, prima, un assito di legno, poi, uno strato di terra.
Per completare l’opera, su tutto pianta il frumento.
Nel 1945 le macchine verranno dissotterrate, risultando intatte, grazie al grasso di cui erano state ricoperte. L’officina riprende l’attività a pieno ritmo, ma non lavora più per le Reggiane, da cui nel frattempo anche Manghi si è licenziato. Si fabbricano invece macchinari dei più vari, come richiede un’Italia che la guerra ha reso priva di vie di comunicazione e poverissima. Si va dalle apparecchiature agricole, non di rado ricavate dalla trasformazione di mezzi militari dismessi, agli scalda acqua elettrici ad immersione, fino alle attrezzature portatili per dentisti e alle torce elettriche a dinamo. Ma già i tre soci iniziano a vedere negli impianti per l’industria conserviera del pomodoro una possibile area di sviluppo.
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