Il cibo è un prodotto della cultura del territorio, della memoria della sua comunità, dei suoi saperi pratici e delle sue abilità artigiane.
Il cibo – come ci ricordava Tullio Gregory – appartiene alla cultura di una comunità, di cui è strumento di senso e di identità. Ne è prova il fatto che alcune comunità considerano cibi prelibati ciò che per altre è disgustoso; ne è prova l’evoluzione socio-economica che è andata di pari passo con l’evoluzione delle abitudini agro-alimentari – come Leone Arsenio ha ben delineato – o, ancora, il fatto che il cibo è – nella nostra società – un mezzo di convivialità.
I prodotti tipici di un territorio rappresentano le opere d’arte della sua gente che li crea a partire da pochi elementi base forniti dalla natura; sono sculture lavorate dalla memoria di una comunità e rese eccellenza.
Se il prodotto tipico è un’opera d’arte, un museo è la sua casa; ma un museo che vive del territorio e della sua vitalità, territorio che il museo può e deve contribuire a rinvigorire, come Calo Cambi ha giustamente sottolineato.
Originario dell’America del Sud, il pomodoro fu introdotto in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, non come ortaggio commestibile, ma come curiosità ornamentale. Nel Settecento se ne sperimentò l’uso in cucina e in Sicilia si cominciò ad affettarlo, seccarlo e a farne ‘sugo ristretto’ che asciugava al sole: la ‘conserva nera’ in pani.
Pioniere della coltivazione del pomodoro nel Parmense e della fabbricazione di conserva dura in pani fu, a partire dal 1867, Carlo Rognoni, coadiuvato da Ludovico Pagani e Brandino Vignali. Nel secondo decennio del Novecento, nel territorio di Parma si contavano già una settantina di industrie attive, ma il periodo decisivo per l’affermazione sul mercato internazionale fu tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta del secolo. Grazie all’assistenza della Stazione Sperimentale delle Conserve, Parma raggiunse i vertici in tutti e tre i segmenti dell’industria del concentrato di pomodoro: produzione agricola, trasformazione e impiantistica alimentare.
Un primato che ancora oggi detiene.
Il pomodoro sta dunque a pieno titolo nel circuito museale che valorizza i prodotti tipici del parmense, ultimo nato di quel sistema dei Musei del Cibo che già vede in funzione il Museo del Parmigiano Reggiano a Soragna, del Salame a Felino, del Prosciutto a Langhirano e in futuro, del Vino a Sala Baganza.
Anche la sede del Museo all’interno della Corte di Giarola, si colloca, significativamente, in un centro di trasformazione agroalimentare d’epoca medievale. Sede di un’industria di trasformazione del pomodoro per i primi sessant’anni del ’900, oggi è anche sede del Parco Fluviale Regionale del Taro, e si trova a 3 km dal Museo Guatelli della Civiltà Contadina, ricco di testimonianze della cultura materiale e anche della coltivazione del pomodoro.
Il tracciato del museo è organizzato in sette sezioni tematiche.
La prima parte con il racconto della storia, con l’arrivo del pomodoro in Europa nella prima metà del ’500, la sua documentata presenza in Italia nel 1545, la sua successiva, lenta diffusione e il combattuto ingresso nella cultura alimentare. Nel parmense giunse sicuramente da Genova, con ogni probabilità alla fine della dominazione francese, tanto che Vincenzo Agnoletti, credenziere alla Corte di Maria Luigia, nel 1832 ci dà una ricetta per la preparazione della conserva, prodotta poi dai cuochi di Corte in 80 bottiglioni nel 1844. Ma vengono esplorate anche le varietà esistenti, le proprietà nutritive, le zone di produzione. Un pomodoro gigante aperto consente di comprendere bene la fisiologia del frutto. Decine di modelli in cartapesta e cera rendono una idea della infinita varietà delle forme e dei colori che ha assunto il pomodoro nel mondo.
Prosegue con la seconda sezione che illustra lo sviluppo dell’industria di trasformazione nella realtà economica di Parma: dal prodotto secco alla conserva nera confezionata in pani, dai concentrati alle passate, dai sughi pronti ai succhi da bere, lavorati da un numero cospicuo di aziende presenti sul territorio – erano 4 nel 1893, 61 nel 1912 con una produzione di un milione e mezzo di quintali, fino alla decina di grossi gruppi ancor oggi attivi, e in grado di trattare 10 milioni di quintali l’anno. Ma pure il ruolo di personalità di spicco, come quella di Carlo Rognoni e di Antonio Bizzozero nella coltivazione del pomodoro, la trasformazione del panorama agrario con l’improvvisa comparsa delle lunghe ciminiere delle fabbriche di trasformazione a segnare, come in un inedito skyline, l’orizzonte padano. E ancora il catalogo completo delle 100 fabbriche – si badi, fabbriche, non marchi! – attive nel parmense negli ultimi 100 anni, con stabilimenti, marchi, passaggi di proprietà, confezioni e immagini di lavoro.
La terza sezione mostra lo sviluppo delle tecnologie produttive: dalla proto industria dedita alla confezione della conserva nera con apparecchi rudimentali, alla fabbrica con la ricostruzione di una linea di produzione per la conserva di pomodoro realizzata con 14 macchine d’epoca fra cui spicca la notevole boule in rame del 1920. Un modello statico tridimensionale consente di comprendere il funzionamento della linea.
Molto interessante anche la quarta che affronta le tematiche legate al prodotto finito – dai marchi, alle confezioni alla comunicazione – con la storia della banda stagnata e della lattina da conserva, l’esposizione di numerose e originali latte e tubetti d’epoca, nonché il ricchissimo materiale di comunicazione e promozione dei numerosi marchi attivi nel Novecento nel Parmense. Qui potremo osservare due nuclei eccezionali di materiale: la raccolta di 105 scatole di conserva, tutte datate al 1938, messa insieme dalla Pezziol per dimostrare in un’aula di tribunale l’unicità del proprio marchio nei confronti di un concorrente e una collezione di 35 apriscatole databili fra il 1855 ed il 1955 e dei relativi disegni e brevetti frutto del tenace impegno di Carlo Grandi. Qui è anche visibile una simpatica Topolino pubblicitaria sormontata da un tubetto gigante di concentrato di pomodoro.
La quinta sezione è dedicata al “Sistema pomodoro”, a tutti quegli elementi, cioè, che hanno contribuito a costituire un distretto vocato alla trasformazione del frutto scarlatto: dai pionieri del pomodoro, che diedero vita, con il loro impegno, ad una nuova attività economica che vede la nostra provincia ancor oggi leader nel mercato, allo sviluppo dell’industria meccanica e alle numerose invenzioni tecnologiche parmigiane, al ruolo del laboratorio nella crescita della qualità dei prodotti, alla straordinaria funzione di indirizzo della Stazione Sperimentale delle Conserve Alimentari istituita nel 1922, al ruolo di primo piano nella promozione commerciale della Mostra delle Conserve, importante vetrina dell’industria parmigiana e progenitrice delle Fiere di Parma e dell’attuale Cibus, tutte realtà nate “intorno” al pomodoro.
La sesta sezione svela i protagonisti del lavoro in fabbrica, dal pesatore al boullista, dalle addette alla cernita al magazzino – ruoli che generazioni di parmigiani hanno ricoperto con dignità e dedizione – attraverso immagini storiche, testimonianze e spezzoni filmati che raccontano l’attività di trasformazione del pomodoro.
A chiudere il percorso, la cultura del ‘Mondo Pomodoro’ con oggetti curiosi o stravaganti, ceramiche e tessuti, utensili da cucina e cravatte, libri e CD musicali, pubblicità, citazioni, dipinti, sculture e ricette a base di pomodoro fino ad arrivare al matrimonio con pasta e pizza.
Fra pochi istanti, tagliato il nastro, potremo visitare in anteprima la Corte di Re Pomodoro: il suo Museo.
Ma prima, ricordando che un dono non ci appartiene pienamente fino a quando non abbiamo detto il nostro grazie, vorrei ricordare le istituzioni, le aziende e le persone che hanno reso possibile la nascita del Museo. E non vuole essere un tedioso elenco, ma un affettuoso riconoscimento e la testimonianza della collaborazione, direi quasi “corale” che ha permesso che noi oggi ci trovassimo qui a ricordare le generazioni che hanno costruito un passato capace di portare frutti anche nel nostro avvenire.
Il Museo è stato finanziato da:
Regione Emilia Romagna, Provincia di Parma-Assessorato Agricoltura, Comune di Collecchio, Camera di Commercio, Industria, Agricoltura ed Artigianato di Parma, Unione Parmense Industriali, Fondazione Cariparma
Ed è sostenuto da Co.Pa.Dor. che ha accettato di sostenerlo per i prossimi 5 anni
I Guzzini ha donato il progetto illuminotecnico.
Hanno concesso materiali
Althea Spa – Boschi Food & Beverage Spa – Casa d’Aste “Il ponte” – Cassa di Risparmio di Parma & Piacenza – CFT Catelli Food Tecnology Spa – Columbus – Comune di Traversetolo – CO.PAD.OR – Emiliana Conserve Srl – Ing. Bruno Darecchio – FCM JBT Italia – Fiere di Parma –– Greci Geremia e Figli Spa – Greci Industria Alimentare Spa –– JBT Italia – Maselli Misure – Carlo Migliavacca Spa – Mutti F.lli Spa – Pellacini Sergio e Figli Snc – Pezziol Srl – Podere Stuard – Protec Srl – Rodolfi Spa – Ing. A. Rossi Spa – Artegrafica Silva – SSICA Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari – ZACMI Zanichelli Meccanica Spa
Un ringraziamento particolare ad Andrea Guazzo Gerardi e Giovanni Zaccanti che hanno concesso la collezione Pezziol di scatole di conserva e Carlo Grandi che ha reso disponibile la collezione di apriscatole.
Hanno collaborato alla realizzazione:
Progetto di restauro e allestimento: arch. Claudio Bernardi, Alberto Bordi, Sauro Rossi, Marco Zarotti
Collaborazione scientifica e testi: Giovanni Delbono, Ubaldo Delsante, Pierluigi Longarini
Allestimenti: Kairòs, Zeroframe, Omnimedia, Cacciavillani, Alberto Ghillani, Megaprint, Andrea Neri, Richard e Maria Benecchi.
Restauro macchinari: Gaudenzio Iacci
Modelli: Silvio Scajola, Roberto Peri, Mirko Scarabaggio
Ufficio Stampa: Binario comunicazione
Un ricordo particolare a Paolo Manzini, ultimo erede degli abili ramai parmigiani e discendente di una famiglia storica della tecnologia conserviera, che da subito ha creduto nel Museo del Pomodoro e ha collaborato alle fasi iniziali di progettazione e di reperimento dei macchinari. Ci ha lasciato prima di poter vedere il progetto divenire realtà. A lui, come a tutti gli altri e ai tantissimi che non possiamo ricordare, che con suggerimenti, idee, piccoli gesti hanno contribuito a che ciò che oggi inauguriamo fosse così come realmente è il nostro grazie.
Presentato il 25 settembre 2010 in occasione della inaugurazione del Museo del Pomodoro