Di Giorgio Cusatelli
Agronomo insigne e Presidente del Comizio Agrario di Parma, Carlo Rognoni (1829-1904) contribuì in modo rilevante con opera sperimentale e didattica allo sviluppo dell’agricoltura italiana nei difficili decenni successivi al raggiungimento dell’unità nazionale, quando, anche in aree tradizionalmente prospere, essa si trovò a patire le conseguenze della disinformazione e dell’inerzia delle antiche amministrazioni.
In particolare, proprio a Rognoni si deve l’innovatrice sperimentazione della coltura del pomodoro a pieno campo: e ancora colpisce il legittimo orgoglio – ma anche l’amarezza per tante incomprensioni – con la quale, nel 1887, nell’occasione di un concorso, si rivolgeva alla “Commissione giudicatrice delle coltivazioni speciali”, sintetizzando progetti e risultati già singolari
(“Affinché sappiasi perché il mio nome trovasi iscritto tra i concorrenti ai premi per la coltivazione del pomodoro, mi è d’uopo esporre quanto segue: da circa vent’anni questa pianta ortense, nella rotazione quadriennale di un mio podere, situato a Panocchia, Comune di Vigatto, tiene il posto del granoturco, che nelle terre a strato attivo poco profondo e a sottosuolo ghiaioso di quel Comune, raramente paga le spese della sua coltivazione. A render nota siffatta innovazione, nel settembre del 1876 presentai al Concorso regionale di Reggio Emilia un saggio dei frutti di pomodoro da me raccolti, insieme coi documenti comprovanti l’utilità, nelle terre adatte a questa pianta, di avvicendarla al frumento, facendola così entrare in una delle rotazioni campestri di questa provincia. Dovetti allora iscrivermi alla Classe III Cat. V, Frutta fresche, legumi ed ortaggi, di quel Concorso”)[1].
A quel decisivo intervento troviamo poi associata sin dall’inizio la promozione dell’industria conserviera, che, anche grazie all’opera di altri pionieri (Lodovico Pagani), sarebbe divenuta già agli inizi del ‘900 una componente fondamentale del quadro economico del territorio parmense; e appare oggi molto suggestiva, su quelle origini, la memoria infantile della nipote Laura Rognoni
(“Qui a Panocchia, nel vecchio podere del mio nonno, c’è tuttora l’antica conservera, dove le pile dei sacchi di tela venivano schiacciate sotto una rudimentale pressa azionata a mano o a cavalcioni, per eliminare il liquido dei pomodori: Ricordo bene i grandi setacci di rame che passavano la polpa nei bigonci, le grandi caldaie di rame in cui sul fuoco a legna si cuoceva la salsa, continuamente rimescolata da lunghe pale di legno: Poi veniva fatta asciugare su tavole al sole, e infine conservata e confezionata in pani di 1 kg, duri e neri, che venivano avvolti in fogli colorati di carta oleata […]. Ma quello era il tempo in cui si andava ancora a piedi a Parma”)[2].
Una valutazione adeguata della personalità di Rognoni implica strettamente, peraltro, l’esame della sua peculiarità di scrittore, e dunque una precisa attenzione alla sua formazione letteraria e all’ambiente in cui si trovò ad operare.
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[1] C. ROGNONI La coltivazione del pomodoro nel podere sperimentale del R. Istituto Tecnico di Parma al Concorso regionale dell’XI Circoscrizione Agraria, Parma 1887, p. 1.
[2] “Gazzetta di Parma”, 29 settembre 1967.