Di Beatrice Dallasta
Gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento, comunemente noti come “Belle Époque” per la pace politica fra le potenze europee, sono anni di profonda crisi dell’arte. L’ottimistica fede nel progresso scientifico era accompagnata dalla consapevolezza di una felicità solo apparente: la borghesia si arricchiva sfruttando i lavoratori la cui spiritualità era uccisa dalla meccanizzazione. L’unico modo per evadere dalla materialità della realtà era rifugiarsi in un mondo immaginario intimo e raffinato.
In questo clima di Decadentismo, in Europa compare un movimento artistico con caratteristiche simili ma diversa denominazione nelle varie nazioni, noto come Art Nouveau in Francia e come Liberty in Italia. L’Art Nouveau, che nasce in Belgio grazie all’architetto Victor Horta (1861-1947) e che interessa soprattutto l’architettura e le arti decorative, si contraddistingue per il rifiuto degli stili storici passati e la ricerca di ispirazione nella natura e nelle forme vegetali. Era un’Arte Nuova, fondata sulla coerenza stilistica e progettuale tra forma e funzione. L’obiettivo di questo movimento è proprio quello di rendere esteticamente validi oggetti di uso comune, prodotti industrialmente, salvaguardandoli dalla banalizzazione della produzione in serie. Gli elementi caratterizzanti sono: il decorativismo, il riferimento al mondo vegetale e alla donna come simbolo di eleganza, la ricerca di nuova bellezza nei prodotti industriali e l’applicazione di questo stile in ogni forma di produzione artistica, tra cui oggetti d’uso comune, grafica e pubblicità.
Tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, nasce e si diffonde tra l’Europa e l’America il modello estetico noto come Art Déco (estrema sintesi di Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes [Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne], tenutasi a Parigi nel 1925). Questo stile, in netto contrasto con l’Arte Nuova e il Liberty, si fondava sull’utilizzo di linee geometriche e della simmetria: dolce, romantico e sognante il primo, energico, compatto e mondano il secondo. Lo stile Déco, soprattutto all’inizio, si esprimeva a pieno nelle arti decorative, riuscendo a dare slancio al design di oggetti e arredi.
È proprio nel periodo caratterizzato dall’Art Nouveau e Déco che si crea il design delle latte per conserva, caratterizzato, come volevano i due movimenti stilistici, dalla bellezza anche delle cose utili e industriali.
Agli inizi del Novecento, quando le prime scatole di conserva arrivarono sul mercato, i sistemi di comunicazione e promozione del prodotto erano limitati. La banda stagnata era marchiata solo dall’indicazione del contenuto della confezione. Con l’aumento dei prodotti inscatolati e del numero delle aziende produttrici, diventa importante catturare l’attenzione del consumatore. Complice l’analfabetismo era necessario affidare la riconoscibilità del proprio marchio ad altro rispetto che ad un nome. Inoltre, quasi tutte le scatole, oltre alla stessa dimensione, avevano gli stessi colori: il rosso del pomodoro, il verde come richiamo alla freschezza e l’oro a simboleggiare la preziosità del prodotto.
L’idea fu quindi quella di collegare i lavorati del pomodoro ad un’immagine o un simbolo facilmente memorizzabili, così che non ci potessero essere fraintendimenti. Sulle latte d’olio esportate ad esempio, erano riportate litografie che evocavano le gesta di Giuseppe Garibaldi, di Giuseppe Mazzini, richiami alle opere più famose di Giuseppe Verdi. Non mancano etichette con figure femminili attraenti o prodotti con nomi che rimandavano alle donne famose nella letteratura italiana. Le icone più comuni nelle lattine parmensi, e spesso soggette a variazioni sul tema da parte di altre aziende vista la notorietà conquistata, erano gli animali (aquile, galli e pulcini, leoni, cavalli, cigni, tori), gli astri, i personaggi mitologici (Sansone, il Centauro), i monumenti e gli edifici storici, i mezzi di trasporto (con una costante evoluzione nella rappresentazione che accompagnava quella tecnologica). Per rendersi conto del ruolo “comunicativo” che poteva avere una lattina, è sufficiente osservare le raccolte di latte di conserve oggi esposte al Museo del Pomodoro e alla Fondazione Museo Ettore Guatelli, nella provincia di Parma.
Alla fine degli anni Trenta, la Camera di Commercio, la Stazione Sperimentale delle Conserve e il Comune di Parma, maturarono l’idea di una fiera specializzata destinata a promuovere l’intera filiera di trasformazione degli alimenti, in quella che già allora si stava delineando come area emblematica della ricchezza gastronomica italiana. Tra i manifesti creati per pubblicizzare le fiere tanti raffigurano la lattina e il suo contenuto, come quelli di Ludovico Lambertini (1876-1960 post.), Giuseppe Milani (1910-1995 ca.), Piero Furlotti (1906-1971). Lambertini, in occasione della III Mostra Internazionale delle Conserve Alimentari, tenutasi tra l’8 e il 19 settembre del 1948, ideò una locandina raffigurante una lattina al centro, dietro la quale si possono intravedere il Duomo e il Battistero di Parma, pronta per essere aperta da un apriscatole, a reggere le bandiere dei Paesi partecipanti alla Mostra.
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