Di Ubaldo Delsante
Parallelamente all’industria conserviera, negli ultimi anni dell’Ottocento iniziò a svilupparsi, in modo complementare, quella dei macchinari. Nessuna officina meccanica aveva, all’epoca, nel proprio listino – ammesso che ne avesse uno – le macchine per le conserve, ma tutte costruivano e forgiavano dietro commessa diretta, “su misura” e in modo artigianale, qualsiasi attrezzo o apparecchiatura più o meno semplice, potesse servire al momento, riducendo al minimo l’assemblaggio di pezzi già pronti.
Complessivamente, le officine meccaniche in città erano 8 nel 1897, 33 nel 1913 e 36 nel 1922. Si trattava generalmente di fabbriche di dimensioni medio-piccole, sorte per soddisfare la domanda locale proveniente da altri comparti produttivi, in particolare quello dell’industria alimentare, ma anche quelli ferroviario, agrario ed edilizio.
Sulla base dei bollettini della Camera di Commercio si può delineare lo sviluppo dell’industria meccanica a Parma a partire dal 1908, quando in provincia il settore occupa circa 400 operai, dei quali la metà nei due più grandi stabilimenti di città, quello dell’ing. Alberto Cugini (già Luigi Ferrari, poi Ing.ri Cugini e Mistrali) in Oltretorrente e quello di Aurelio Callegari, posto a Barriera Aurelio Saffi, nell’attuale viale Tanara, con uffici amministrativi in via Vittorio Emanuele (oggi via della Repubblica) 198, che produceva locomotori e materiale ferroviario.
La fabbrica Cugini, invece, eseguiva qualsiasi tipo di macchina: nel 1910 contava 130 operai e disponeva anche di una fonderia. Produceva turbine e impianti per la fabbricazione di conserva di pomodoro e inoltre macchinari per mulini, caseifici e pastifici. Eseguiva pure artistiche cancellate in ferro battuto e serrande per negozi su progetto di famosi architetti dell’epoca. La fortuna di questa azienda fu però di breve durata: già nel 1911, a seguito degli scioperi indetti dagli operai metallurgici per conseguire miglioramenti salariali, cominciavano le prime difficoltà che la porteranno al fallimento l’anno successivo. Ma non furono soltanto le agitazioni sindacali a decretare l’insuccesso dell’iniziativa: le difficoltà del mercato, il declino della spinta trainante delle fabbriche di conserva di pomodoro, la riduzione dell’attività molitoria, non compensati dalla timida introduzione di macchinari nei caseifici e congiunti ad una conduzione aziendale per lo meno avventurosa, che faceva affidamento più al giro di cointeressenze legate al nome del proprietario che non ad una attenta valutazione delle esigenze produttive, avevano reso l’azienda vulnerabile ai colpi della recessione. Nel 1913 i creditori e gli operai stessi della Cugini tentarono la riapertura della fabbrica, ma quasi subito ne dovettero decidere la definiva chiusura.
Tra le altre ditte minori presenti nel periodo possiamo ricordare quella di Giovanni Centenari & F., in via delle Fonderie 23-29, che produceva costruzioni in ferro in genere, parti in bronzo per impianti idraulici e antincendio, macchine a vapore per caseifici e pastifici, oltre che pesi e misure. Negli anni Venti la Centenari passerà ad altri settori produttivi.
Legata strettamente all’industria conserviera tipica del Parmense era la produzione di barattoli di latta e casse per imballaggio intrapresa a partire dal 1907 dalla Società Ligure Emiliana in un nuovo stabilimento sorto in viale Piacenza, nella periferia Nord-Ovest della città; presso di essa si rifornivano le industrie delle conserve di pomodoro.
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