Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Memorie di un tubetto di conserva di pomodoro

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Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamano in vita le immagini e danno voce agli oggetti che si fanno intervistare. In una di queste occasioni un tubetto gigante di conserva di pomodoro conservato al Museo del Pomodoro ci ricorda la sua origine parmigiana.

MEMORIE DI UN TUBETTO DI CONSERVA DI POMODORO

Gentile Tubetto di Conserva di Pomodoro, Lei ha compiuto settantuno anni essendo nato a Parma nel 1951. Un’età ottimamente portata e che mi spinge ad intervistarla iniziando sui suoi antenati che certamente le hanno trasmesso i loro caratteri e che in Lei si manifestano in modo originale, almeno così credo.

Lei non sbaglia. Nella calma di questo Museo del Pomodoro ho avuto modo di ripercorrere una lunga storia, che trovo in me, come avviene per tutti gli esseri viventi – anche i tubetti hanno un certo modo di vita – che nel loro DNA mantengono indelebili tracce dei loro antenati e che mi piace raccontare per rispondere alla sua domanda e in un certo senso dare ragione, se non spiegare, come in me vi siano arte, tecnica ed eccellenza alimentare tipicamente parmigiana.

Che in me vi sia dell’arte è facile intuirlo, basta pensare che un mio diretto antenato è il tubetto di stagno che prende rapidamente piede in Francia un secolo circa prima che io nascessi. In quel periodo era sorta la corrente artistica dell’Impressionismo, una pittura che coglie e “fissa” l’immediatezza e l’impressione di quello che vede l’occhio del pittore in una pittura “en plein air”. Per fare questo gli artisti hanno bisogno di colori a olio, ma questi, preparati negli atelier, a contatto prolungato con l’aria si seccano velocemente e sono scomodi da trasportare. Nel 1841, negli Stati Uniti, il ritrattista John Rand (1801-1873) aveva avuto l’idea di preparare i colori in tubetti di stagno, morbidi da maneggiare, pieghevoli, con una chiusura che conserva la fluidità del colore e che permettono la diffusione di questa pittura in ogni condizione ambientale. Proprio per questo vengono ben presto adottati da tutti gli artisti. Il Brevetto dell’11 settembre 1841 riguarda la conservazione di vernici, o altri fluidi, in recipienti metallici in modo da poter forzare la vernice o il fluido attraverso una piccola apertura richiudibile e a tenuta d’aria per impedire che il contenuto residuo venga danneggiato dall’atmosfera.

se troppo lungo, tagliare la parte in rosso

Non bisogna però dimenticare che la pittura ad olio è molto antica, ne danno notizia Marco Vitruvio Pollione (80 a. C.-15 a. C.) e Plinio il Vecchio (?? – 79 d. C.), è praticata nel corso dei secoli, i pittori fiamminghi del XV secolo la perfezionano e conosce una straordinaria diffusione prima nelle Fiandre e poi in Italia, dove è tradizionalmente attribuita ad Antonello da Messina (1430-1479). In questo lungo periodo i colori ad olio sono preparati dai pittori stessi e dai loro aiutanti e conservati in budelli animali e soprattutto nella vescica di maiale, né più né meno di come a Parma si conserva il Culatello o il Salame di Felino per cui non ho paura di immaginarli come miei primi proto-antenati.

Lei è un tubetto di alluminio con un particolare rivestimento interno, quasi una sottoveste, ma perché diversi sono gli involucri dei tubetti che l’hanno preceduta?

Lei accenna alla sottoveste e come per i vestiari anche per i tubetti diversi sono i materiali usati nella loro costruzione, in relazione al tipo di contenuti e, per quanto riguarda gli alimenti, le loro caratteristiche. Oltre ai budelli animali e allo stagno cito l’alluminio oggi di larga diffusione e i diversi materiali plastici senza escludere i poliaccoppiati. Mentre i primi tubetti all’esterno avevano una semplice etichetta, da tempo vi sono colori e elaborate immagini e l’interno è adeguato soprattutto all’acidità del materiale da contenere. Se sono motivazioni artistiche a portare alla nascita del nuovo contenitore, nel tempo il suo utilizzo si estende a molti altri campi che comprendono l’industria cosmetica, i dentifrici (Colgate è il primo nel 1896), le colle, i lucidi da scarpe, la farmaceutica che lo usa per pomate e unguenti. L’industria alimentare e ogni tipo di contenuto ha bisogno di un particolare tubetto e relativo rivestimento interno.

Riguardo l’uso del tubetto per la conservazione degli alimenti, quali sono i vantaggi? È vero che il primo tubetto per alimenti sarebbe stato usato per una conserva di pesce?

Molti sono i vantaggi del tubetto che permettete di conservare un alimento di consistenza pastosa per essere consumato in maniera pratica e immediata usandolo senza sprechi, ma non bisogna dimenticare il suo costo e la possibilità di lavorazione. Se il tubetto di stagno è compatibile con i colori ad olio, per gli alimenti bisogna aspettare l’arrivo e la diffusione dell’allumino, metallo duttile che ben si presta a una produzione meccanizzata e che può essere protetto da specifiche resine in caso di alimenti acidi che intaccano questo metallo. Il tubetto in piombo rivestito di stagno è troppo costoso per diventare un contenitore alimentare di massa. Alla fine dell’Ottocento, circa novanta anni dopo le prime scatolette di metallo per conservare verdure, carne e altri alimenti, iniziano i primi usi del tubetto di stagno, che sarà abbandonato per il costo e per la presenza del piombo che si rivela tossico. Per conservare la pasta d’acciughe inventata da Cesare Balena e venduta in barattolo, il figlio Attilio Balena alla fine del secolo XIX usa un tubetto prima di stagno e poi di alluminio.

Il tubetto di derivati dal pomodoro non rientra negli alimenti da Lei citati. Quando nasce dunque?

All’inizio del XX secolo il tubetto è una valida alternativa a barratoli e scatolette di minori dimensioni per conservare anche gli estratti di carne ma, per il suo costo, non è ancora impiegato per gli alimenti più economici e di larga diffusione, come i derivati del pomodoro. Tutto cambia negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, quando anche in Italia parte la corsa verso l’industrializzazione alimentare per soddisfare un’espansione dei consumi e la donna diviene figura partecipe del mercato del lavoro e sempre più distaccata da secolari ruoli casalinghi con abitudini alimentari che si orientano verso un consumo rapido ed efficiente.

L’industria alimentare si adegua e usa le nuove tecnologie sviluppate dalla ricerca sui metalli e la loro lavorazione. In particolare l’alluminio, duttile e poco costoso, e si affaccia sul mercato, grazie a nuove tecnologie, con un tubetto estruso da piccole pastiglie di alluminio, inizialmente utilizzato per alcuni derivati del latte. La conserva di pomodoro ha un’acidità che corrode il sottile foglio di alluminio, ma rapidamente si scopre una resina protettiva (Araldit Ciba Geigy), una notizia che non sfugge a Ugo Mutti (1893-1980) che guida, coi fratelli Ferdinando (1888-1965), Giovanni (1899-1979) e Francesco (1906-1973) l’omonima azienda conserviera parmigiana e che, con grande discrezione, sperimenta e mette a punto una confezione destinata a spalancare il futuro.

Il 24 aprile 1951 esce dallo stabilimento di Piazza di Traversetolo, in provincia di Parma, il primo tubetto di concentrato di pomodoro in alluminio della storia con un particolare tappo plastico a forma del ditale che rende il tubetto Mutti unico e distinguibile. Il “tubetto dal ditale” si inserisce perfettamente nel contesto sociale dell’epoca, quando ancora le casalinghe rammendano e cuciono in un ménage domestico che poi scomparirà. Da qui, attraverso intelligenti campagne di comunicazione, come la mitica automobile Fiat 500 “giardinetta” con il tubetto gigante sul tetto, e soprattutto col passaparola delle donne che usano il tubetto in cucina, il successo è completo. Da questo momento il tubetto entra prepotentemente nell’industria alimentare, spaziando dai già conosciuti estratti di carne e paste di pesce, per arrivare a salse (come la maionese) e sughi già pronti. Questo successo deriva anche dall’industria delle macchine per la lavorazione degli alimenti che sviluppano sistemi che uniscono la praticità della produzione industriale con le necessità igienico sanitario necessarie per la produzione alimentare; basti pensare che oggi, ogni anno, si producono almeno dieci miliardi di tubetti di alluminio per l’alimentazione, la cosmetica e la farmaceutica. Numeri che dimostrano la grande praticità di un tubetto in alluminio perfetto per garantire la conservabilità del prodotto ed essere nel contempo riciclabile ed ecosostenibile.

Gentile Tubetto di Conserva di Pomodoro, da quanto mi ha detto comprendo che la sua genesi ha un tocco di parmigianità.

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Un’ultima domanda. Che importanza ha la memoria degli oggetti che come Lei sono presenti nei Musei del Cibo?

Presso il Museo del Pomodoro si narra la storia del tubetto nell’ambito dell’industria conserviera grazie a due oggetti emblematici: una tubettatrice Tonazzi del 1951 – la prima impiegata per la conserva Mutti, appositamente restaurata dalla Ditta Cavalieri di Parma – e una Fiat “Topolino” pubblicitaria simpatica e divertente. La nostra presenza nei Musei del Cibo dimostra che sotto ogni realtà ce ne sono sempre altre, pronte a irrompere; che siamo fatti di tracce e che ci sono cose che riguardano tutti anche se non ce ne rendiamo pienamente conto.

Alla fine tutto quello che facciamo può tradursi in coscienza della nostra storicità: infatti il senso del “passato” interessa il modo in cui ogni società si trasforma e, nel contempo, costruisce la propria identità.

Un concetto che vale anche per oggetti ritenuti a torto umili, come un tubetto di conserva di pomodoro o un apriscatole, che, per quanto trascurato e dimenticato, perdura nel tempo e con i suoi racconti e con il suo stesso esempio, ci aiuta a fissare l’esperienza di oggi nell’abbraccio della memoria.

Senza quella memoria – di persone, idee, scoperte – non potrebbe esistere un reale progresso, perché torneremmo sempre a reinventare ciò che è già stato fatto. È quindi bello che un museo conservi la memoria degli oggetti e dei sapori quotidiani, per aprire l’orizzonte a nuove visioni.