Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Carlo Rognoni e la selva di ciminiere delle fabbriche di pomodoro

Home/Assaggi/Le interviste impossibili/Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Carlo Rognoni e la selva di ciminiere delle fabbriche di pomodoro

Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamano in vita le immagini e danno voce agli oggetti che si fanno intervistare. In una di queste occasioni, una foto di Carlo Rognoni esposta al Museo del Pomodoro di Collecchio mi permette di intervistare l’agronomo e studioso parmigiano e di conoscere i segreti della sua attività agricola di coltivazione e trasformazione del pomodoro.

CARLO ROGNONI E LA SELVA DI CIMINIERE DELLE FABBRICHE DI POMODORO

 È a Panocchia (Parma) che l’anziano ma sempre attivo Carlo Rognoni (1829-1904) ci concede nel 1902 un’intervista su quanto sta avvenendo nel territorio parmense, dove sta crescendo una selva di “capitelli del cielo”, ovvero di ciminiere delle fabbriche di pomodoro, con discussioni che si sono rinfocolate dopo l’11 giugno 1902, quando alla Crocetta di San Pancrazio, comune adiacente a Parma, i fratelli Ettore e Ferruccio Pezziol hanno inaugurato una nuova fabbrica per la produzione di doppio concentrato di pomodoro e sulla quale svetta un’alta ciminiera. È questa un’altra fabbrica in quella che sta diventando la patria italiana del pomodoro e della sua trasformazione perché è qui che Carlo Rognoni, nel 1867 per primo, nei suoi campi di Panocchia coltiva il pomodoro da trasformare in salsa. È inoltre Carlo Rognoni che nel 1872, sul “Bollettino dei Comizi Agrari” dice agli agricoltori: “Imparate a coltivare il pomodoro; pel momento i risultati saranno modesti; ma tempo verrà che quest’industria prenderà sviluppo, e colla perfezione dei macchinari e coi crescenti consumi, chi sarà addestrato nella coltivazione della materia prima potrà fare fortuna”. Ma Carlo Rognoni è anche colui che quasi come un profeta invita gli agricoltori a trasformare i pomodori dei loro campi. Una profezia che rapidamente ha iniziato a realizzarsi tanto che nel 1890 il Ministero di Agricoltura Industria e Commercio censisce a Parma sedici opifici (fabbriche) per la lavorazione del pomodoro: dodici a Felino, due a Parma e uno rispettivamente a Langhirano e Cortile San Martino e che da circa tremila e trecento quintali di pomodoro producono una media di cinquecento e trentacinque quintali di conserva nera.

Gentile Dottor Rognoni, grazie di averci ospitati in questa sua bella residenza di Panocchia, tra coltivazioni di pomodori e campi arati, e con locali per la trasformazione di pomodoro dotati di una bella caldaia, villa che si vuole essere costruita sulle antiche rovine di un avamposto, forse voluto dai signori di Torrechiara. Anche ora questa villa è un avamposto per la coltivazione non più in orto ma in campo e con nuove tecniche di rotazione agraria e di trasformazione del pomodoro. Questa sede signorile molto antica, quasi patriarcale, è anche impreziosita da una torre circolare che spicca sul lato nord ovest e che domina la campagna. Cosa ne pensa delle nuove torri costituite dalle ciminiere o “capitelli del cielo” delle fabbriche di pomodoro e che quasi come una selva stanno crescendo nel territorio parmense?

Superata è una lavorazione del pomodoro a livello familiare od artigianale con una conserva concentrata con l’ebollizione in caldaia a cielo aperto e scaldata con fuoco a legna e la successiva essiccazione al sole, con la produzione di pani di “conserva nera” o “sestuplo”. Ora nei moderni opifici o “fabbriche del pomodoro” il calore del vapore è usato per la concentrazione della passata di pomodoro anche sotto vuoto e la produzione del doppio e triplo concentrato di colore rosso che, confezionato non più in fragile vetro, ma in scatole metalliche, decreta il successo della nuova produzione, facilmente esportabile. Nelle nuove fabbriche sono necessarie caldaie con ciminiere la cui altezza non è soltanto un elemento tecnologico collegato al suo tiraggio e ad una migliore dispersione dei fumi, ma diviene anche un simbolo della potenza della fabbrica stessa e dell’immagine e prestigio del suo proprietario, come nel passato era la torre di un castello o di una villa, come lei ha osservato. Non molte sono ancora le fabbriche di pomodoro parmigiane con le loro ciminiere, ma sono sicuro aumenteranno, fin quasi ad arrivare a una selva (N. d. I. – Rapidissima fu la crescita delle nuove fabbriche del pomodoro nella periferia cittadina e la campagna, soprattutto nella zona meridionale del piano-colle, con una selva di ciminiere simbolo di una nuova imprenditorialità. Tra il 1902 ed il 1907 sorgono diciannove stabilimenti forniti di caldaie vapore per arrivare a un totale di cinquantanove nuove fabbriche di concentrati e conserve di pomodoro nel 1913 e 72 nel 1922).

Grazie di quanto mi ha detto, ma per quanto possibile, vorrei sapere perché ai contadini ha voluto insegnare la coltivazione dei pomodori in campo e soprattutto a lavorare loro stessi i pomodori costruendo delle fabbriche, invece di venderli a industrie come avviene per le barbabietole da zucchero.

Molte e lunghe sarebbero le risposte, ma credo possa bastare il ricordo degli elementi che hanno guidato il mio agire nei confronti dell’agricoltura parmense, che nella seconda metà del secolo XIX dopo l’unità del Regno d’Italia si è trovata in una posizione d’inferiorità rispetto alle agricolture europee. Molto vivo e ancora oggi in corso è il dibattito su quale strada di progresso percorrere per superare il divario che ci separa da altri Paesi. Due sono le strade proposte: importazione o sviluppo locale? Ad esempio per gli animali, importare razze estere di bovine Bruna Alpina o maiali inglesi Large White o migliorare le nostre razze di mucche di razza Formentina e di Maiale Nero? Diversamente da altri pur validi ricercatori che operano a Parma e che stimo, primo tra tutti Antonio Bizzozero (1857-1934), io con altri siamo per la via dello sviluppo locale, anche perché io sono attento alle memorie del passato che sono anche nelle tradizioni, sulle quali nel 1866 ho pubblicato una Raccolta di proverbi agrari e meteorologici del Parmigiano. Per quanto riguarda i vegetali, in particolare il pomodoro, una pianta che ritenevo e ritengo di grande successo, mi sono dedicato a un radicale miglioramento della sua coltivazione e trasformazione. Non più una coltura in piccoli orti familiari, ma in campo e inserita in una rotazione agraria biennale con il granoturco e il frumento e io, in questo mio podere La Mamiana, studio per primo il pomodoro e con Giuseppe Ferrari la sua coltivazione. Con incroci ricavo la qualità più adatta, lo denomino “Ladino di Panocchia” e con successo la porto in coltura in pieno campo. Non più un ortaggio da insalata o trasformato in una conserva nera, ma convertito in nuovi prodotti sulla base delle conoscenze di conservazione che abbiamo dopo le scoperte di Nicolas Appert (1749-1841). Qui con Ludovico Pagani (1866-1939) e Brandino Vignali (1868-1944) ho iniziato a fabbricare conserva dura in pani e ho invitato altri contadini a seguire il mio esempio. Le prime fabbriche si stanno sviluppando intorno a questa mia abitazione, si stanno diffondendo a macchia d’olio e sto convincendo gli agricoltori a una nuova imprenditorialità costruendo fabbriche con alte ciminiere per una moderna lavorazione del pomodoro e la produzione di doppi e tripli concentrati e salse in contenitori non più in fragile vetro, ma in solido metallo. Tra queste nuove fabbriche ricordo quella del cav. Marcellino Mutti (1854-1941) che con i figli Ferdinando, Ugo, Giovanni e Francesco ha iniziato l’attività di trasformazione del pomodoro nel 1899 e che già si distingue per le caratteristiche innovative e per la scelta di sviluppo qualitativo dei suoi prodotti. La scelta di molte fabbriche governate dagli agricoltori locali è necessaria perché i pomodori di oggi, non so quelli del futuro, non sopportano lunghi trasporti, come quelli ad esempio delle barbabietole da zucchero. Proprio ora abbiamo anche notizie che un abate agostiniano di Brno (Gregor Johann Mendel (1822-1884) N. d. I.) lavorando sui piselli ha scoperto le leggi che regolano l’eredità e che potranno aiutare i miglioramenti e l’adattamento dei vegetali a nuovi sistemi di coltivazione e di trasformazione. Ricordo anche che nel 1874 fondo una società di agricoltori e che all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 il Comizio Agrario di Parma presenta conserva e salsa di pomodoro in pani e in vasi di cristallo.

Gentile Dottor Rognoni, la ringrazio per questa intervista e vorrei che in questa bella villa fosse ricordata la sua opera per esempio con una targa nella quale fosse inciso che “Carlo Rognoni agronomo parmigiano per primo sperimentò e introdusse nella rotazione agraria la coltura del pomodoro, pioniere della nascente industria conserviera, umanista e storico esaltò valori e tradizioni della nostra civiltà contadina” perché siamo sicuri che la sua opera che sta portando a una nuova industria per imprenditorialità contadina condurrà anche alla nascita e crescita di un’industria meccanica diversificata.