Il confezionamento del pomodoro: lattina, tubetto e brik

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Nella produzione industriale il contenitore principe per il pomodoro fu dapprima la “latta”, termine con il quale s’intende la lamiera di ferro sulla cui superficie viene depositato un sottile strato di stagno. Se la sua applicazione avviene mediante elettrolisi, prende il nome di banda stagnata. Il procedimento consente di ottenere contenitori con la robustezza del ferro e la resistenza alla corrosione dello stagno. Lo sviluppo tecnologico, che ha portato in tempi recenti alla produzione a basso costo di lamiere in alluminio o in acciaio inox, ha ridimensionato l’uso della latta nelle conserve alimentari, sia per il maggior costo dello stagno, sia per la sua minore compatibilità con alcuni usi alimentari, mentre per le altre applicazioni si è fatto ricorso alle materie plastiche. La banda stagnata cominciò a essere lavorata tra la fine del secolo XIII e i primi anni del Trecento a Wunsiedel, una cittadina dell’Alta Franconia, in Germania. La sua affermazione negli imballaggi si ebbe però solo tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento. Fu l’inglese Peter Durand a depositare un brevetto (UK Patent 3.372) il 25 agosto 1810. L’inglese Bryan Donkin e il socio John Hall, acquisito nel 1812 il brevetto da Durand – e applicando le metodologie di Nicolas Appert – iniziarono la produzione di cibi confezionati in scatole di latta, presentati con successo nel 1813 al Duca di Wellington. Utilizzate dall’Esercito, dalla Marina e dai primi esploratori, le scatolette, o “lattine” come ancora oggi sono chiamate, furono commercializzate nei negozi dal 1830. In Italia Francesco Cirio (1836-1900) e Pietro Sada (1855 ca-1942) furono i primi a confezionare vegetali e carne in latte di banda stagnata, importandole però dall’estero.

In Italia

Il primo fabbricante italiano di scatole in banda stagnata fu Luigi Origoni, che il 4 febbraio 1890 iniziò l’attività alla Bovisa di Milano. Anche la conserva di pomodoro, inizialmente confezionata in bottiglia o, nel caso della conserva nera, in pani avvolti nella carta oleata, trovò nelle latte l’imballaggio ideale. Per la sua commercializzazione si utilizzavano barattoli cilindrici in banda stagnata, litografati con i marchi e le scritte volute dal fabbricante. I barattoli erano messi a disposizione delle fabbriche da apposite industrie nazionali, ma ben presto anche da ditte locali. Una produzione di barattoli di latta e casse per imballaggio fu intrapresa a Parma a partire dal 1907 dalla Società Ligure Emiliana in uno stabilimento sorto in viale Piacenza, nella periferia Nord-Ovest della città. Tra le due guerre, per iniziativa della Pezziol, sorse a Parma un’altra ditta produttrice di barattoli in banda stagnata: la S.C.E.D.E.P. Le fabbriche di conserva poste sulla pedemontana, invece, potevano rifornirsi dei barattoli presso un’azienda fondata a Sala Baganza dal bolognese Giuseppe Vitali, che nel 1918 la cedette a un’industria che aveva altri stabilimenti del genere in Italia, la Metalgraf di Milano e che nel 1931 diventerà S.I.R.M.A. (Società Italiana Recipienti Metallici e Affini), con stabilimento anche in via Golese a Parma.

Il tubetto: una rivoluzione

Nel 1951 l’azienda parmense Mutti introdusse per prima sul mercato il concentrato in tubetto: una rivoluzione nella conservazione del prodotto e nelle abitudini in cucina. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Italia era un paese da ricostruire ed era fondamentale, prima della diffusione di massa del frigorifero, conservare a lungo le poche risorse alimentari disponibili. La conserva di pomodoro, una volta aperta la lattina, rischiava, seppur protetta da un leggero velo d’olio d’oliva, di divenire preda di muffe e batteri. Nacque così l’intuizione di utilizzare i tubetti come contenitori per la conserva. La novità dapprima stentò a decollare per la diffidenza verso un formato fino ad allora destinato solo al dentifricio. Ben presto, però, il nuovo tipo di confezione conquistò il favore dei consumatori, grazie alla praticità e facilità di conservazione rispetto alla tradizionale latta. Inoltre, l’idea di usare come tappo di chiusura del tubetto un ditale in materiale plastico, riutilizzabile dalle massaie per i lavori di cucito, contribuì a rafforzare la riconoscibilità e la diffusione del prodotto e in poco tempo il concentrato Mutti fu conosciuto come il “Tubetto dal Ditale”.

Il “tetrapak”

Nello stesso anno 1951 a Lund, in Svezia, Ruben Rausing fondava la Tetra Pak società ancora oggi leader nei sistemi per il trattamento e il confezionamento di alimenti. I primi contenitori, dai quali nacque il nome dell’azienda, avevano la forma di tetraedri. L’idea fondamentale era di formare un tubo ricavandolo da un rullo di carta rivestita di plastica, riempirlo e sigillarlo sotto il livello del liquido.

Rausing aveva lavorato al progetto fin dal 1943 e nel 1950 aveva perfezionato la tecnica per rendere questo tipo di contenitore impenetrabile all’aria, utilizzando un sistema di rivestimento della carta con polietilene. Il primo prodotto, chiamato Tetra Classic, fu usato per il confezionamento della panna e del latte. Nel 1959 venne avviato il processo di sviluppo della nuova confezione Tetra Brik, a forma di parallelepipedo, idonea alla conservazione di alimenti liquidi sia freschi, cioè che richiedono refrigerazione, sia di alimenti a lunga conservazione, grazie al confezionamento asettico. In Italia, impianti per la produzione di materiale di confezionamento furono avviati a Rubiera, Latina e Modena.