Il “Vertumno” di Giuseppe Arcimboldo

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Uno dei quadri più celebri del Seicento è certamente il “Vertumno” di Giuseppe Arcimboldo, noto pittore manierista nato a Milano nel 1527 ed ennesimo figlio della nota casata locale. Nel 1577 l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo (1552-1612) commissionò al pittore una serie di quadri, le cosiddette “Stagioni”, che ritraessero gli elementi naturali tipici di ogni periodo dell’anno. Per realizzare i quadri, tuttavia, Arcimboldo utilizza una tecnica innovativa, un lampo di genio che sarà motivo di imitazione e rivisitazione per decenni: sceglie di comporre dei ritratti associando degli elementi naturali, componendo i tratti dei suoi soggetti con frutta, verdura, fiori e altri elementi vegetali. La finalità simbolica era quella di rappresentare il dominio della casa asburgica non solo sulle famiglie rivali, ma in un certo senso su tutto il creato, incluse le tante risorse di madre natura.

Il “Vertumno”

Realizzato nel 1590 il quadro ritrae lo stesso imperatore Rodolfo II, il cui profilo fiero e maestoso è riprodotto in pieno stile Arcimboldo. Il naso non è altro che una pera, poggiata su due enormi pesche, le guance, e attorniato da grappoli d’uva e spighe di grano, che formano la capigliatura del grande condottiero. Un occhio attento potrà individuare molti altri elementi sul volto di Rodolfo, fin troppi da menzionare. Certamente saltano subito all’occhio i due piccoli pomodori “ciliegini”, che affiancati rappresentano le labbra rosso vermiglio dell’Imperatore. Vertumno è il Dio delle stagioni e, non a caso, è l’ultimo ritratto del ciclo delle Stagioni di Arcimboldo, il giusto coronamento della gloria degli Asburgo che in sé contiene e trascende lo scorrere del tempo. Non è casuale nemmeno la scelta di rappresentare ogni frutto e fiore all’apice della sua bellezza, in pieno e rigoglioso splendore e, ancora una volta, in chiaro riferimento alla longevità e alla grandezza della famiglia imperiale. Ecco il manierismo sperimentale di Arcimboldo, che non si limitò a ritrarre fedelmente i suoi soggetti, ma riuscì ad elevare i prodotti della tavola (insieme a molti altri oggetti) allo status di vere e proprie opere d’arte, degne di contribuire a creare i volti di re e regine.