La raccoglitrice di olive di Luigi Bechi

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Albero sacro ad Atena (Minerva nel mondo romano), perché dono della dea agli uomini, ma anche raccolto ai confini del mondo da Ercole nel luogo che diventerà il bosco consacrato a Zeus, addirittura proveniente dal Paradiso Terrestre secondo una leggenda che lo vorrebbe nato sulla tomba di Adamo, seppellito sul monte Tabor, l’olivo affonda le proprie radici nella storia stessa dell’umanità e s’intreccia con i racconti popolari, la mitologia, la poesia e la religione.
L’ulivo è una delle piante arboree da frutto più diffuse al mondo e di origine più antica. Proviene, secondo un’ipotesi accreditata, dall’area geografica compresa tra l’Asia Minore e l’Asia Centrale, dov’era presente più di seimila anni fa. Da millenni è centrale nella storia delle civiltà che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, determinandone cultura, gastronomia e arte.
Scene di raccolta delle olive sono raffigurate già nei vasi greci del II secolo avanti Cristo, nelle miniature medievali del Taccuinum Sanitatis, nei trattati di agricoltura del Settecento. Qui è il pennello del pittore fiorentino Luigi Bechi (1830-1919), appassionato della “macchia”, a darne una interpretazione moderna nel suo Raccoglitrice di olive con ragazzo, databile alla fine dell’Ottocento, oggi conservato a Milano presso la Collezione Winsemann Falghera, dove il protagonista della tela pare essere, più che l’uliveto o i personaggi in primo piano, il silenzio ovattato, che traspare dai colori tenui e dal chiaroscuro accentuato.