Ambasciatori della Valle del Cibo – Intervista a Gabriele Canali

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Il pomodoro, l’oro rosso, è un prezioso alleato per la nostra salute e, ormai, elemento imprescindibile della cucina italiana e mediterranea: dalla pasta alla pizza, dai ragù alle insalate, il pomodoro non manca mai sulle nostre tavole, tutto l’anno.
Dietro la produzione, la raccolta e la trasformazione di questo frutto di origine americana c’è un mondo. Un mondo di ricerca, di studio di lavoro e di ingegno. Ma anche di competizione globale che si intreccia con i temi della sostenibilità sociale e ambientale.
Per parlare di questi aspetti abbiamo sentito il parere di Gabriele Canali, docente di economia politica agroalimentare all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Canali che è stato dal 2016 al 2018 consigliere per le politiche economiche agrarie del Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, oggi è consulente scientifico per l’Organizzazione interprofessionale del Pomodoro da industria del Nord Italia nonché direttore del Master europeo Food Identity. Ha collaborato, tra gli altri, con ISMEA e CREA a livello nazionale e con FAO e World Bank a livello internazionale. È responsabile scientifico di diverse ricerche sull’innovazione, la competitività e la sostenibilità nell’agroalimentare.

Il pomodoro da industria coltivato in Emilia-Romagna e, più in generale, nel nord Italia ha standard qualitativi elevati. Come preservare le produzioni in un mercato che tende sempre più a importare, da paesi extra UE, conserve e derivati che non rispettano le soglie minime di sostenibilità ambientale e sociale?

“Tutto il pomodoro da industria coltivato nel Nord Italia applica, da diversi anni, le tecniche della produzione integrata facoltativa, uno standard produttivo più restrittivo che consente di ridurre in modo sensibile i possibili impatti negativi delle produzioni agricole sull’ambiente. Unica eccezione alla produzione integrata, nel Nord Italia, è rappresentata dalle produzioni biologiche, cioè da produzioni ancor più sostenibili dal punto di vista ambientale. Questa situazione rappresenta un caso unico: non esiste, né in Europa né nel resto del mondo, un territorio così ampio nel quale tecniche di agricoltura sostenibile trovino una diffusione così rilevante su questa coltura. Questo dato, unito con la forte professionalità e una marcata attenzione alla qualità delle produzioni, sia degli agricoltori che delle imprese di trasformazione, ha contribuito a creare e sviluppare una reputazione unica a livello internazionale per il prodotto di questo territorio. E la reputazione si traduce in competitività. Ciò spiega anche perché l’Italia sia il principale esportatore mondiale di derivati di pomodoro.
Ovviamente la competizione è sempre molto elevata e bastano pochi cambiamenti nello scenario economico e produttivo mondiale per modificare le convenienze. Per questa ragione è sempre necessario prestare grande attenzione a possibili forme di concorrenza sleale. Di fronte a questo problema, due sono gli strumenti principali a disposizione dei sistemi produttivi: l’adozione di normative che consentano una competizione leale tra Paesi e in particolare tra produzioni UE ed extra-UE, da un lato, e un rafforzamento delle informazioni sull’origine fornite ai consumatori per permettere loro di fare scelte informate, dall’altro. Su entrambi i punti Europa e Italia stanno facendo la loro parte.”

Come fare per rendere la produzione di pomodoro da industria sempre più sostenibile in un contesto di cambiamento climatico, con alcune risorse che scarseggiano o dove eventi catastrofici quali ondate di caldo estremo o piogge torrenziali distruggono le colture?

“La coltura del pomodoro da industria è molto esigente, sia in termini di acqua che di temperature, e i cambiamenti climatici stanno creando problemi crescenti alla coltura e di conseguenza all’intera filiera. Le annate calde e secche (come il 2022 e in parte il 2023) si alternano ad annate con primavere e inizio estate molto piovose, come quest’anno, con problemi di natura diversa, ma sempre rilevanti sulle produzioni.
Gli agricoltori reagiscono innanzitutto con l’adozione di tecnologie che consentono un uso sempre più mirato ed efficiente dell’acqua, ad esempio, come pure degli strumenti di lotta contro i parassiti e i patogeni che si sviluppano nelle diverse condizioni climatiche. Ad esempio, con le piogge di quest’anno gli attacchi di peronospora (un fungo patogeno potenzialmente molto impattante) si sono verificati fin dalle prime fasi della crescita delle piante.
L’assistenza tecnica fornita dagli agronomi delle organizzazioni dei produttori e dai sistemi di supporto alle decisioni (Decision Support System, DSS), svolgono un ruolo decisivo per migliorare la resilienza della fase agricola di fronte alla crescente variabilità delle condizioni climatiche.
Con riferimento all’acqua, non basta prestare attenzione alle tecniche di irrigazione: è necessaria anche un’azione attenta a livello territoriale per garantire sia infrastrutture in grado di drenare le piogge torrenziali che, soprattutto, infrastrutture atte a raccogliere acque per poterle avere a disposizione nel periodo estivo per l’irrigazione. La relazione tra l’Organizzazione Interprofessionale del Pomodoro da Industria del Nord Italia, che rappresenta tutta la filiera, e i Consorzi di Bonifica, ha consentito di promuovere miglioramenti continui a beneficio della produzione su tutto il territorio. Strumenti ulteriori sono le forme di assicurazione, recentemente ampliate per coprire nuovi rischi, e i fondi mutualistici che potrebbero dare un altro contributo alla riduzione dei rischi per i redditi degli agricoltori.”

Il turismo enogastronomico è in netta crescita in Italia e non solo. Non è un caso che nella Food Valley ci sia un circuito dedicato al Cibo, fatto di nove Musei, uno dei quali – unico in Italia – celebra proprio il pomodoro. Cosa pensa della valorizzazione dell’immagine dei prodotti di questo tipo per qualificare il territorio?

“Il legame tra territorio e produzioni agro-alimentari è un dato importantissimo, non solo da un punto di vista tecnologico e agronomico, ma anche socio-culturale e storico-turistico. Non è un mistero che questa seconda dimensione tenda ad assumere, nel nostro territorio e in genere nel nostro Paese, una rilevanza indubbia. Il sistema Parma ha saputo ben strutturare e valorizzare questo legame, sia attraverso le produzioni più tradizionali formalmente legate al territorio quali formaggi e salumi DOP e IGP, ma anche con produzioni che pur essendo industriali hanno trovato sul territorio una forte caratterizzazione: la pasta, i derivati del pomodoro, altri salumi non DOP o IGP, le alici, ecc. I Musei dei Cibo, in questo contesto, svolgono un ruolo di particolare interesse, specie quando riescono ad entrare in pacchetti turistici che riescono a unire cultura, storia, arte, cibo, territorio e ambiente, per soddisfare una domanda nazionale e estera sempre più importante ed esigente. A fronte di queste opportunità, serve forse una maggiore capacità di sviluppare un’offerta di pacchetti turistici organici, ma anche flessibili per rispondere alle diverse esigenze dei potenziali visitatori, nazionali e internazionali.”