In una lettera indirizzata nel 1838 all’amico Luigi Germi, il grande compositore e musicista Niccolò Paganini (1782-1840) confessa:
«Ogni giorno di magro e anche di grasso, sopporto una salivazione [ossia, ha l’acquolina in bocca] rammentando gli squisiti ravioli che tante volte ho gustati alla tua mensa». Va pazzo per i ravioli come tutti i genovesi, il grande Virtuoso; e l’anno dopo, trovandosi a Nizza, pur gravemente malato, ha ancora la forza di mettersi a tavolino e di vergare con mano tremante la ricetta richiestagli, relativa al vero ripieno dei ravioli alla genovese.
La descrizione, non senza errori d’ortografia e di sintassi, è però gastronomicamente ineccepibile: «Per una libra e mezza di farina due libre di buon manzo magro per fare il sugo. Nel tegame si mette del butirro, indi un poco di cipolla ben trittolata che soffrigga un poco. Si mette il manzo e fare che prenda un po’ di colore. E per ottenere un sugo consistente si prende poche prese di farina, ed adagio adagio si semina in detto sugo affinché prenda colore. Poi si prende della conserva di pomodoro, si disfa nell’acqua, se ne versa entro alla farina che sta nel tegame e si mescola per scioglierla maggiormente, ed in ultimo si pongono entro dei fonghi secchi ben tritolati e pestati ed ecco fatto il sugo… ».
Riccardo Morbelli, Il boccafina, ovvero il gastronomo avveduto. Roma, Casini, 1967, p. 223.